Contestazioni disciplinari

14 febbraio 2015

Se la Corte di merito ha accertato che, nella fattispecie, non è emersa la prova dell’avvenuta ricezione, da parte del lavoratore, della missiva contente la contestazione disciplinare propedeutica al successivo licenziamento, non c’è alcuna violazione dello ius novorum in appello, e neppure alcuna ultra petizione o alcuna violazione del principio del contraddittorio, se il lavoratore fa semplici ulteriori deduzioni su elementi di fatto già acquisiti e già oggetto di contraddittorio tra le parti.

Per semplicità di esposizione: Il Giudice del Lavoro annullava la sanzione disciplinare irrogata al lavoratore e, per l’effetto, condannava la società datrice di lavoro al pagamento in favore del ricorrente delle retribuzioni maturate nei dieci giorni di sospensione dal lavoro infl itti; annullava, inoltre, il licenziamento e ordinava alla società di reintegrare il predetto nel posto di lavoro, risarcirgli il danno mediante corresponsione di un’indennità pari alla retribuzione, nonché provvedere al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali, per il periodo dal licenziamento alla reintegra. Il giudice riteneva sproporzionata la sanzione conservativa e dichiarava illegittimo il licenziamento perché sproporzionato rispetto ai fatti contestati.

La Corte d’appello, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, rigettava l’impugnativa contro la sanzione conservativa e confermava l’illegittimità del licenziamento.

La società datrice di lavoro ha proposto ricorso per cassazione contro tale decisione, lamentando che la Corte territoriale abbia fondato la sua decisione su circostanze nuove (introdotte per la prima volta in appello), pronunciandosi sul profi lo d’uffi cio e senza consentire un contraddittorio delle parti. Infatti, rileva la ricorrente, il lavoratore, in primo grado, si era limitato a negare genericamente la circostanza di aver ricevuto la raccomandata contenente la contestazione posta alla base del licenziamento, pertanto, la introduzione in appello di un elemento di novità (la circostanza che l’avviso di deposito di raccomandata, priva dell’indicazione del numero interno dell’appartamento del lavoratore non era mai stato inserito nella buca delle lettere dell’appellato) costituiva una nuova prospettazione ed un nuovo tema di indagine, e come tale inammissibile in appello.

Il Collegio ritiene, invece, che fi n dall’inizio il lavoratore aveva negato di aver ricevuto la raccomandata in oggetto e che incombeva, dunque, sulla società l’onere della prova della avvenuta comunicazione della contestazione disciplinare.

È, quindi, evidente che il rilievo da parte dell’appellato secondo cui non aveva avuto conoscenza della comunicazione, costituiva mera difesa, trattandosi soltanto di semplici ulteriori deduzioni basate su elementi di fatto tutti già documentalmente acquisiti al processo e già oggetto di contraddittorio tra le parti.

Quindi, conclude la Corte, “non solo non vi è stata alcuna violazione dello ius novorum in appello, ma neppure vi è stata alcuna ultra petizione o alcuna violazione del principio del contraddittorio, giacché la Corte di merito ha soltanto accertato che, nella fattispecie, non è emersa la prova dell’avvenuta ricezione, da parte del lavoratore, della missiva contente la contestazione disciplinare propedeutica al successivo licenziamento”.

Il principio che emerge è sempre lo stesso: il datore di lavoro, in caso di licenziamento, ha l’onere di provare tutti i fatti costituenti il provvedimento espulsivo.