Mansioni superiori o meglio le “famigerate” posizioni organizzative

30 aprile 2014

Il Tribunale di Pescara respinge la domanda di una funzionaria della Camera di Commercio della città abruzzese, volta ad ottenere la disapplicazione del provvedimento di assegnazione a un collega della posizione organizzativa del settore Programmazione e Risorse Finanziarie, con conseguente dichiarazione del proprio diritto all’attribuzione del suddetto incarico e condannando il datore di lavoro alla corresponsione del relativo trattamento economico.

La sentenza viene confermata in appello sulla base del fatto che il conferimento di incarichi della tipologia in questione esula dall’ambito degli atti amministrativi autoritativi e rientra tra gli atti negoziali assunti dall’amministrazione con le capacità e i poteri del datore di lavoro privato.

La donna ricorre in Cassazione. La ricorrente lamenta che la Corte d’Appello abbia esaminato superficialmente il suo ricorso, non mettendo a fuoco l’illegittimità del comportamento della Camera di Commercio nella gestione della procedura selettiva, che si sarebbe dovuta effettuare attraverso la comparazione dei curricula dei partecipanti in modo non dissimile da una vera e propria procedura concorsuale senza dare adito a valutazioni  discrezionali e chiarendo i criteri di selezione adottati. Il ricorso merita accoglimento: le Posizioni Organizzative sono previste dal CCNL del Comparto Regioni e Autonomie Locali (identica cosa per la sanità pubblica) e consistono nell’attribuzione temporanea al personale della categoria D delle  funzioni di direzione di unità organizzative, con la correlata assunzione di un grado elevato di responsabilità di prodotto e di risultato, cui corrisponde un particolare status giuridico ed economico.

Il loro conferimento esula dall’ambito degli atti amministrativi autoritativi e rientra tra gli atti negoziali assunti dalla amministrazione con le capacità e i poteri del datore di lavoro privato. Ne consegue che a tale conferimento vanno applicate le regole in materia di limiti interni dei poteri attribuiti al datore
di lavoro pubblico dalle norme di diritto privato.

Si tratta di previsioni relative all’esercizio del potere discrezionale, suscettibili di essere integrate e precisate dalle clausole generali di correttezza e buona fede, di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. In particolare, con riferimento alle procedure di selezione per promozione del personale, il dato re di lavoro (anche pubblico) che abbia vincolato la propria discrezionalità, per propria autonoma iniziativa o pattiziamente, stabilendo delle regole da applicare per la disposta selezione, deve attenersi a tali regole, in applicazione dei principi di correttezza e buona fede.

«La Corte territoriale si è discostata da tali principi ove – dopo aver riferito che la Camera di Commercio nell’esercizio dei poteri discrezionali aveva bandito la selezione per il conferimento della PO (…) attraverso la comparazione dei curricula dei partecipanti – ha poi considerato corretta la successiva scelta dell’amministrazione di circoscrivere il periodo di valutazione alla sola esperienza maturata nell’ultimo triennio di attività», non  chiedendosi affatto se la modifi ca dei criteri prefissati per la verifi ca delle professionalità potesse configurare ipotesi di violazione dei principi di correttezza e buona fede.

Per tali ragioni il ricorso è stato accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma. Per cui la discrezionalità del datore di lavoro nel conferire alcuni incarichi trova nei limiti sia nei contratti collettivi sia nei contratti aziendali ed o meglio le clausole non possono essere modificate o interpretate a “convenienza”.

Nel caso di specie, a detta del sottoscritto, vi erano tutti gli estremi anche per una denuncia penale nei confronti dei dirigenti